LA DRAMMATICA FINE DI CARL McCUNN
LA DRAMMATICA FINE DI CARL McCUNN: Christopher McCandless sulle sue stesse tracce?
di Kyt Lyn Walken
Spesso, nelle storie di sopravvivenza, il cibo ricopre il ruolo di perno narrativo: il cibo come fonte di energia, come sogno e incubo insieme. Come elemento dato per scontato – soprattutto nelle civiltà più avanzate – e come essenza che può ridonare la forza di lottare ancora. Nella storia di Mauro Prosperi, da me trattata in un precedente articolo (https://www.completefood.it/sopravvivere-nel-deserto-lincredibile-storia-di-mauro-prosperi/), un pipistrello, per quanto disgustoso ai più, ha rappresentato, in quel determinato frangente, una possibilità di salvezza.
Questa volta sarà la vicenda – amara e spietata – del fotografo Carl McCunn a insegnarci qualcosa.
I più accaniti lettori di Into the Wild – Nelle terre estreme di Jon Krakauer avranno forse già in mente il suo nome: i dettagli che accumunano la storia di McCunn a quella di McCandless sono infatti diversi, e il saggista statunitense lo aveva infatti sottolineato. Nello specifico: l’Alaska, la passione per le terre desolate e la solitudine, e il cibo, per l’appunto.
Nato nel 1946 nella Monaco della Germania da poco divisa, era cresciuto a San Antonio, in Texas, e dopo aver abbandonato la carriera militare nella Marina dove aveva militato per quattro anni si era trasferito prima a Seattle e poi ancora più a nord, a Anchorage. E’ la fine degli anni Settanta, e McCunn avverte un richiamo inizialmente indistinto in lui. La città, per quanto poco popolosa (ad oggi conta meno di 300.000 abitanti) è ancora troppo una città.
La mente del trentenne guarda più a Nord, molto più a Nord.
A Fairbanks, ecco dove. Esattamente 359 miglia più a Nord, e dritto nel cuore dell’Alaska.
Forse anche il nome Fairbanks vi dirà qualcosa.
- McCunn si fa portare da un bush pilot a circa – appuro da Wikipedia – 225 miglia a nord est rispetto a Fairbanks, in prossimità di un lago nemmeno battezzato. Aveva intenzione di trascorrere cinque mesi in totale solitudine, per fotografare la fauna selvaggia e la natura incontaminata dell’area. Aveva con sè 500 rullini, 1400 pounds (ovvero 640 kg) di provviste, due fucili e uno shotgun.
Pare che si fosse accordato con il pilota circa “l’esfiltrazione” in Agosto, ma evidentemente non si capirono: nessun Piper si fa vedere in quel periodo, e McCunn spera allora che il padre, o amici a cui aveva spedito la sua posizione, si mettano alla sua ricerca. Tuttavia le coordinate geografiche inviate risultano assolutamente approssimative.
Annota sul suo taccuino: “Penso che avrei dovuto usare più lungimiranza per organizzare la mia partenza. Lo scoprirò presto.” Giunto a metà Agosto, è certo oramai di dover razionare le provviste e iniziare a cacciare.
La testimonianza di un Alaska State Trooper circa l’avvistamento del campo di McCunn rimane uno degli episodi più oscuri dell’intera vicenda. L’uomo infatti ha poi ammesso di aver sorvolato l’area e di aver visto il fotografo, ma di non aver notato da parte sua alcun segno di necessità o richiesta di aiuto.
Eppure McCunn appunta ancora, nel suo diario: “Ricordo di aver alzato la mano destra, la spalla alta e di aver stretto il pugno al secondo passaggio dell’aereo. È stato un po ‘di allegria, come quando la tua squadra ha segnato un touchdown o qualcosa del genere. Si scopre che è il segnale per ‘ALL O.K. – NON ASPETTARE!’. “È certamente colpa mia se sono qui adesso! … Amico, non ci posso credere. … mi sento davvero un *! Ora so perché nessuno si è fatto vedere da quell’incidente”.
Ma c’è un altro punto oscuro: quello del capanno di cacciatori (pieno di provviste) posto a poca distanza dal campo. McCunn ne è certamente a conoscenza, ma non è risultato mai chiaro il motivo per cui non ne usufruì: un altro State Trooper glielo aveva indicato durante la fase di preparazione del suo viaggio. Poteva costituire un buon riparo in caso di tempo avverso. Ma forse fu proprio il maltempo a non consentirgli nemmeno di raggiungerlo.
Carl McCunn prova dunque a piazzare trappole ma con poco successo. Prima di Novembre, il cibo è esaurito; valuta l’idea di camminare per 75 miglia (circa 121 km) fino a Fort Yukon, ma la neve e le sue condizioni oramai deboli non glielo permettono.
Il 26 Novembre il suo taccuino riporta “vertigini e tremori continui”. C’è una sola cosa da fare.
Si toglie la vita con uno dei fucili, lasciando una lettera ai famigliari, i quali si mobilitano alla sua ricerca solo agli inizi del 1982: il 2 febbraio un areo di soccorso trova infatti il suo campo, e i soccorritori rinvengono il corpo congelato e emaciato all’interno della tenda.
McCandless, Krakauer ne è certo, era al corrente della vicenda di McCunn, passata perlopiù inosservata all’epoca.
In Alaska di gente ne muore un sacco. E chi non ha esperienza, o sottovaluta la preparazione psico fisica richiesta, o minimizza le skill da possedere, è in cima alla lista.
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