SOPRAVVIVERE NEL DESERTO: L’incredibile storia di Mauro Prosperi

SOPRAVVIVERE NEL DESERTO: L’incredibile storia di Mauro Prosperi

di Kyt Lyn Walken

Ci sono storie a cui non puoi credere perchè hanno in sè dell’incredibile. Storie di cruda sopravvivenza, le potremmo definire.

Persone ordinarie che compiono atti straordinari, al limite dell’immaginazione e persino della pregressa preparazione che potremmo loro attribuire. Non stiamo parlando di soldati addrestrati nei  migliori reparti speciali, nè di Survivalisti che – finalmente – possono testare le proprie skills in una reale situazione, di quelle che gli Americani amano definire “worst case scenario“.

Eroi? Forse. Eppure tali persone non prediligono questa definizione. 

Hanno fatto quello che dovevano.

Hanno persino valutato il suicidio, prima di lottare per la vita.

Come Mauro Prosperi.

1994.

Si disputa in Marocco la famosa Marathon des Sables. Prosperi ha trentanove anni, è un Ufficiale di Polizia con una passione per le corse di resistenza. Proprio come quella gara: 240 km da affrontare nella parte marocchina del Sahara, da disputare per un totale di una settimana “in totale autosufficienza alimentare“. Vale a dire: i partecipanti possono contare su un punto di ristoro ogni 10 km, dove poter rifornirsi della razione giornaliera di acqua (9 litri). Su Wikipedia trovo poche altre informazioni che possano descrivere, anche in maniera sintetica, quanto sia aspra e dura questa competizione.

Il nostro “Sopravvissuto” non è tuttavia uno qualunque. E’ stato infatti Medaglia d’oro alle Olimpiadi dell’84 a Los Angeles nella squadra di pentathlon moderno, è tenace e caparbio e le sfide sono davvero la sua forza motrice. 

Nel 1994 Mario Prosperi è lì, pronto a testare i mesi di preparazione e i suoi stessi limiti. 

Per i primi tre giorni, tutto bene.

Il quarto succede l’inaspettato: una tempesta di sabbia subentra rendendo ogni riferimento nebuloso. 

Posso solo immaginare il cielo e l’orizzonte di quel giorno: compatto, inaccessibile, una coltre di vento e sabbia spesse come una coperta. Prosperi perde l’orientamento, non ha alcun punto di riferimento. Perde di vista gli altri atleti, si ritrova inghiottito in un vertice che decreta, apparentemente, la sua solitudine. E forse fine.

Ma Prosperi avanza. Solo, nella direzione sbagliata. 

Posso immaginare il suo corpo tonico e leggero dimenarsi come un sottile trattino in un quadro sconnesso. Passa un giorno interno. Avanza, ma verso l’Algeria. Percorre chilometri e chilometri. Non vede la fine, ma una tappa intermedia, rappresentata da un santuario arabo in evidente stato di abbandono. E’ un traguardo, a modo suo. Intuisce che qualcuno potrebbe passare di lì, seguendo antiche rotte sahariane? Forse. 

Disidratato, privo di ogni cosa se non dei vestiti che indossa, trova la forza di bere la propria urina e di cibarsi di pipistrelli che abitano le rovine, decapitandoli, bevendo il sangue e non tralasciando le interiora. 

Immobile nel suo rifugio di fortuna, nelle ore successive non viene avvistato nè da un aereo nè da un elicottero che sorvolano l’area. 

Lo smarrimento più tetro si fa strada in lui, impossessandosi di quella voglia di lottare che lo aveva sempre contraddistinto: prova a tagliarsi le vene, ma il sangue, a causa della disidratazione, è denso, è melassa che si raggruma sulle braccia oramai ossute. 

Deve muoversi, deve togliersi da lì. Gli viene in mente la raccomandazione dei Tuareg “dirigiti  verso le prime nubi del mattino. E così fa. Attraversa il deserto per nove giorni, cibandosi di quello che trova: topi, cactus, serpenti. Poi l’incontro che gli salva la vita, quello con pastori nomadi che lo portano fino ad un campo militare dell’Algeria. La sua odissea finisce in un ospedale, con un totale di 15 kg persi e un ammontare di 299 km nelle gambe. 

Verrà poi raccolta in un libro autobiografico, “10 giorni oltre la vita“.

Si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto. Di una esperienza tale, e in solitaria, spesso speculazioni negative si affastellano nella mente degli increduli.

Non spetta certo a me indicarvi la chiave di lettura, ma solo di raccontarvi una storia di sopravvivenza.

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